Torniamo indietro di una ventina d’anni. Dove andiamo? Dai, per una volta un posto caldo e soleggiato. Vanno bene i Caraibi? Ottimo.
Il calcio da quelle parti non ha mai avuto grandissimo successo, anche perchè risente della concorrenza di altri sport più radicati (cricket o baseball) o molto più remunerativi per le caratteristiche degli indigeni (atletica leggera).
Nonostante questo a pallone si gioca. Il calcio caraibico, a livello mondiale, ha avuto quattro momenti di gloria, coincidenti con le partecipazioni delle nazionali della zona alla Coppa del Mondo.
Nel 1938 fu Cuba a rompere il ghiaccio. Fidel Castro e il socialismo sono una ventina d’anni dall’arrivare, Fulgencio Batista governa e la nazionale riesce a qualificarsi per il Mondiale. Oddio, riesce…in pratica nella loro zona si ritirano tutti per protesta contro la FIFA, colpevole di aver mandato a ramengo dopo tre edizioni il proposito si alternare la sede del torneo tra vecchio e nuovo continente. I cubani, mica scemi, non rinunciano e vanno.
Al primo turno c’è la Romania. Finisce 2-2 al 90′ e 3-3 dopo i supplementari. I rigori ancora non esistono e si rigioca quattro giorni dopo. Tra la sorpresa generale i caraibici vincono 2-1 in rimonta e passano ai quarti. Avversario la Svezia, ma finisce maluccio, 8-0 per gli scandinavi.
Per rivedere i Caraibi ai mondiali bisogna aspettare quasi 40 anni. Nel 1974, in Germania, è la volta di Haiti. Partecipazione celeberrima in Italia. Contro di loro giochiamo la famosa partita del gol di Sanon, che interrompe il record di imbattibilità di Zoff, e del vaffa in mondovisione di Chinaglia a Valcareggi. Finisce 3-1 per gli azzurri e per qualche giorno si pensa che gli haitiani non siano poi così malvagi. Peccato che poi ne prendano 7 dalla Polonia e 4 dall’Argentina. Insomma il problema siamo noi e infatti andiamo subito a casa.
Nel 1998 la Coppa del Mondo torna in Francia e tornano anche i Caraibi. A qualificarsi è la Giamaica. Contro Croazia e Argentina finisce male, ma all’ultima partita arriva la storica vittoria contro il Giappone.
L’ultimo caso è recente, nel 2006. In Germania arriva Trinidad e Tobago, guidata da quello che forse è il più forte caraibico di sempre, l’attaccante Dwight Yorke. Attaccante che per l’occasione arretra a centrocampo per dare un po’ più di costrutto alla manovra. All’esordio è un ottimo 0-0 contro la Svezia. Nella seconda partita si resiste per 83 minuti contro l’Inghilterra, per poi capitolare e di fatto uscire.
Come vedete, il calcio caraibico ha sempre fatto un po’ di fatica ad imporsi nel mondo. Per le nazionali della zona, più che la Gold Cup, il torneo della CONCACAF dove comunque son sempre schiaffoni, il vero obiettivo è la Caribbean Cup, la Coppa dei Caraibi.
Si svolge proprio durante una partita di qualificazione a questo torneo il fatto di cui facevo cenno prima di questo nostro excursus.
È il 1993 e ci si gioca un posto per l’edizione dell’anno successivo. Nel Gruppo 1 sono inserite Porto Rico, Barbados e Grenada. Tre stati in cui il calcio non ha il primato. A Porto Rico domina da sempre il basket, mentre da Barbados sono usciti alcuni buoni velocisti (Obadele Thompson su tutti). E a Grenada? Beh, hanno il cricket. E una sciatrice. Sì, non avete letto male. Nel paese il monte più alto non raggiunge i 900 metri e la neve è un concetto abbastanza oscuro, ma a fine anni ’90, l’austriaca Elfi Eder, slalomista di buon livello, va in rotta con la sua federazione e decide di gareggiare con i colori caraibici. Purtroppo ha già sparato le cartucce migliori della carriera.
Torniamo al calcio. Nella prima sfida Porto Rico regola Barbados per 1-0. La partita successiva tra i portoricani e Grenada finisce 0-0. Si va ai supplementari. Ma come? Siamo nel girone, un punto a testa, no? No, perchè gli organizzatori hanno deciso che il pareggio pare brutto. Prima del 120′ comunque è Grenada a segnare il primo gol della partita. Gol che vale il…2-0! Sì, sempre colpa degli organizzatori. Il gol nei supplementari è un golden goal e vale doppio. Vi sembra una scemenza? Aspettate il resto della storia…
Passa solo la prima. Porto Rico è ormai fuori dai giochi. Barbados-Grenada è decisiva. Ai primi serve una vittoria con due gol di scarto, agli altri basta tutto il resto.
A dieci minuti dalla fine Barbados sembra farcela. Vince 2-0. All’83’ però arriva il gol di Grenada che rovina tutto. Serve un altro gol. Il 3-1, ovvio. O forse no? I barbadiani mettono in moto l’ingegno e intuiscono la mandrakata. Difficile segnare con così poco tempo a disposizione. Meglio andare ai supplementari e avere mezz’ora a disposizione per mettere a segno una rete che vale doppio. Ergo, all’87’ si fanno autogol di proposito.
I grenadini sono storditi dalla cosa. Poi ci arrivano. Qua ci vogliono coglionare. Capiscono che ora anche loro hanno bisogno di un gol. Uno qualsiasi, per loro o per gli altri basta che sia gol. Gli ultimi tre minuti sono puro teatro dell’assurdo. Da una parte una squadra che cerca di infilare il pallone in una qualsiasi delle porte, dall’altra una che le difende entrambe.
Hanno la meglio quest’ultimi perchè al novantesimo finisce 2-2. Ai supplementari, forse ancora in stato confusionale, Grenada cede e subisce il 3-2. Pardon, 4-2.
Barbados passa il turno e va a giocare la fase finale della Coppa dei Caraibi dove però esce fuori subito. Nel frattempo quella partita entra nel mito e diventa quasi una leggenda metropolitana. Tutto per una decisione discutibile dei dirigenti, di quelli che comandano.
“Mi sento fregato. La persona che se n’è uscita con queste regole dovrebbe essere rinchiusa in manicomio“, dichiara nel post-partita James Clarkson, allenatore di Grenada.
E vagli a dare torto…
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